Nessuna colpa nella mancata cattura del boss Matteo Messina Denaro; nessun condizionamento subito da parte dell’ex procuratore aggiunto Antonio Ingroia; una gestione della procura efficace e ottimale, accompagnata da comportamenti personali assolutamente corretti. Davanti alla Prima Commissione del Csm, che gli ha aperto la procedura di trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale, il procuratore di Palermo Francesco Messineo si è difeso a spada tratta. Ha parlato per due ore e mezza di fila per spiegare che non stanno in piedi le accusa sulle quali poggia il rischio che lui debba lasciare Palermo. Il capo dei Pm di Palermo è stato drastico nell’escludere sue responsabilità nella mancata cattura di Matteo Messina Denaro, per un difetto di coordinamento delle indagini: non c’erano elemnti sicuri per la cattura del boss, quando la Procura di Palermo arrestò nell’ambito di un’operazione contro le cosche dell’agrigentino (“Nuova Cupola”) il boss di Sambuca di Sicilia Leo Sutura, l’uomo che avrebbe dovuto portare sulle tracce del superlatitante e che in quel momento era importante assicurare alla giustizia per la sua pericolosità. Ha pure negato di aver mai chiesto al Pm del suo ufficio che indagava su Banca Nuova di soprassedere all’iscrizione nel registro degli indagati del suo amico, allora direttore dell’istituto di credito, Francesco Maiolini. Ed è pure stato fermo nell’escludere di non aver fatto sempre un uso coerente dello strumento dell’astensione nelle inchieste che hanno coinvolto suo cognato e suo fratelloMa soprattutto ha respinto l’accusa di una conduzione troppo debole della Procura, sottoposta a influenze e senza un vero coordinamento; con la conseguente impossibilità per lui, per le situazioni e i rapporti che si sono determinati in procura, di “continuare a esercitare con piena indipendenza e imparzialità” le sue funzioni di capo dell’ufficio.